Acclamato dalla critica, Ovunque io sia, di Romana Petri, è un romanzo amaro, le cui protagoniste sono schiacciate dalla vita e incapaci di scuotersi di dosso il potere ammaliante e ingannevole di uomini deboli e bugiardi, che le tradiscono, le umiliano, le abbandonano.
I destini di Ofelia, Margarida e Maria do Ceu si intrecciano in una vibrante saga familiare che ha inizio negli anni Quaranta per arrivare ai giorni nostri. A funestare le loro esistenze l’incontro con tre uomini che le porteranno al disfacimento, a volte rabbioso, a volte rassegnato, delle loro speranze.
Tre donne, tre diversi modi di reagire o soccombere di fronte ai colpi inferti dalla vita: Ofelia, che decide di restare moglie “davanti a Dio” di un uomo egoista e superficiale che le preferisce, sin dal primo giorno di matrimonio, le amanti; Margarida, ragazza madre povera e ingannata che, tuttavia, non perde mai il coraggio e il sorriso; Maria do Ceu, che all’ipocrisia di un rapporto di facciata sceglie una dignitosa ma difficile autodeterminazione.
Una scrittura fluida, suggestiva e, nella prima parte, ricca di pennellate poetiche, sullo sfondo di una Lisbona di estrema bellezza, ma oltraggiata dalla soffocante dittatura che finirà solo con la rivoluzione del 1974.
Seguendo con il fiato sospeso le vicende di queste donne scolpite nel dolore, fino a metà libro ho pensato di leggere uno dei migliori romanzi degli ultimi anni, con l’ansia famelica di scorrere le pagine per arrivare a un finale che si aprisse alla speranza. Ma, a un certo punto, la narrazione compie un movimento di involuzione, trascinandosi in un susseguirsi di tragedie al femminile che lasciano chi legge rabbiosamente inerme. Colpisce la mancanza assoluta di riscatto per i personaggi maschili, tutti ego riferiti e privi di empatia e coraggio, mentre il sentimento materno delle donne si fa ancora di salvezza e speranza.
Un romanzo potente, che scuote e affascina, con protagoniste alle quali non si può fare a meno di pensare a lungo, ma che lascia in bocca il sapore aspro delle occasioni mancate e nella testa il dubbio che molte pagine, nell’ultima parte, siano superflue e prive della meraviglia iniziale. Resta un libro che affattura, tuttavia il peso della tristezza che grava su chi legge al termine dell’ultima pagina induce a chiedersi fino a che punto si possa sopportare la sofferenza in un libro.
E, di fronte a tanto buio, vien voglia di accendere tutte le luci che si hanno a disposizione.
IL VINO
Lettura da accompagnare a un bicchiere di Madeira, intenso vino liquoroso portoghese, che assume il caratteristico colore ambrato a contatto con gli agenti esterni, come le donne del libro, le cui vite assumono i colori cupi degli accadimenti.

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