C'è Silvana Grasso all'ennesima potenza in quest'opera che, attraverso una prosa carnale, lirica e feroce, stordisce per bellezza di rinnovato incantesimo.
E' la storia di un pentimento, quello del patriarca Branciforti, per aver ceduto alle lusinghe dell'abisso, commettendo il più indicibile dei crimini, in un istante di orrore che trascinerà con sé la sua esistenza e quelle di chi gli sta intorno.
E' la storia di un sogno di possesso, che diventa ossessione carnivora, che divora il pensiero e fa a brandelli la mente, come i tonni dell'agognata tonnara, fino a quando non prende forma, diventando, però, tormento e martirio, quando Pietro rifiuta il suo destino di indossatore di sogni, "vomitando conati di delusione sul desiderio di padre".
Ed è la storia di un'inettitudine che diventa progetto intenzionale, fallimento perseguito con maniacale lucidità perché si faccia punizione, vendetta, rivalsa e scopo finale della propria vita.
E poi c'è lei, la lingua della scrittrice, spina che ferisce "per graffio selvaggio", avviluppando il lettore nelle spire di un suono antico, che sa di avi, di terra, di anima. Mentre lo sguardo di una Sicilia madre e matrigna, moglie e meretrice, culla i sogni dei suoi abitanti osservando, spietata e commossa, la loro disfatta e la loro esistenza che si sfalda come pupa di zucchero ai colpi della sorte.

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