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Writer's pictureMichela Bilotta

Favola feroce tra burlesque e umorismo nero

L’inizio sembra quello dei classici film di suspence: un commesso viaggiatore ha un guasto all’auto in un villaggio sconosciuto, ed è costretto a cercare un rifugio dove trascorrere la notte. Gli viene indicata una dimora ai margini del paese, dove un anziano giudice in pensione ospita, di tanto in tanto, chi necessita di un alloggio.


Ad Alfredo Traps, questo il nome del protagonista, non resta che recarsi presso l’abitazione, dove viene colpito dall’affabilità del giudice e dall’opulenza della casa. L’ex giudice gli confessa che una volta alla settimana invita a cena due amici, un pubblico ministero e un avvocato in pensione, per inscenare i grandi processi della storia, da Giovanna D’Arco a Gesù, così da rispolverare, in una sorta di sfida, le abilità delle loro precedenti professioni.


Una messinscena apparentemente innocente

Traps (in nomen omen) è affascinato da quello che gli sembra un innocuo passatempo, pertanto accetta l’invito a cena e appare entusiasta di partecipare alla messinscena. Nel corso della serata, tuttavia, si rammarica di dover ammettere che non ha mai commesso reati. I quattro anziani non demordono perché, «che lo si vo­glia o no, c’è sempre qualcosa da confessare». Il banchetto prosegue tra cibo squisito e vini pregiati, di cui l’ospite gode con gioia, confessando con ingenuo compiacimento, man mano che le portate si susseguono, i suoi frequenti tradimenti nei confronti della moglie. Non immagina che le sue “piccole debolezze” possano diventare la trama di un feroce processo che smaschera le sue bassezze e lo mette sul banco degli imputati con inaspettata crudeltà.


Da ospite a imputato

Quello iniziato come un gioco innocente finisce con il diventare un’imprevista trappola con un finale geniale e inatteso. In questo classico della letteratura degli anni ’50, il grottesco e la follia si tengono a braccetto, portando il lettore in una spirale dell’assurdo che stritola il protagonista e lascia confuso e ammirato chi legge.

Con una domanda finale che risuona infernale nella testa: siamo tutti colpevoli di qualcosa?




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